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“Serve una formazione universitaria specifica per chi lavora in Rsa con gli anziani”

Chiedere alle università che prevedano percorsi di formazione specifica per chi lavora in Rsa, nelle diverse professionalità. Perché il lavoro in Rsa richiede e sviluppa competenze diverse da quello in ospedale o sul territorio. E il lavoro Rsa merita pari dignità.

E’ la proposta del dottor Gianluigi Perati, che dal 1994 lavora all’associato Uneba Lombardia Fondazione Vismara De Petri, di cui è oggi direttore sanitario.

Perati ha scritto una lettera ad Avvenire ) per invitare politica ed amministrazione ad “approfondire meglio il mondo della geriatria residenziale e territoriale, per evitare di colpire in modo improprio le nostre realtà”

Perati nella lettera evidenzia poi “una cosa, per me, semplice ed incontrovertibile, ovvero che le persone anziane gravemente disabili, sia sotto il profilo cognitivo-comportamentale che motorio e funzionale, non vivono sempre meglio a casa propria”.

Di cosa hanno bisogno, dunque, questi anziani fragili?
“Gli anziani fragili – ci tiene a ribadire Perati a www.uneba.org – non sono tutti uguali. Servono servizi appropriati per le diverse situazioni. Una risposta composita. Se vogliamo dare vita a una rete di servizi efficaci, questa rete deve comprendere le Rsa, servizi di residenzialità leggera come case-famiglia o condomini solidali (e invece a volte la Rsa è l’unica risposta anche per persone con patologie meno gravi, come le classi Sosia 7 e 8 per la Lombardia), e cure a domicilio intensive e puntuali”.

Per il settore dell’assistenza agli anziani, Perati individua un’altra urgenza.
Bisogna dare più dignità agli operatori. Lavorare in Rsa non deve essere un ripiego per chi non ha trovato lavoro altrove. Medici, infermieri, Asa/Oss, fisioterapisti che lavorano in Rsa: tutti sviluppano competenze diverse dai colleghi negli ospedali e sul territorio. Serve una sensibilizzazione delle università, perché organizzino specifici percorsi formativi di crescita professionale per chi lavora in Rsa. Perché non esiste, al pari del medico pediatra, del medico di medicina generale e del medico ambulatoriale, anche la figura del medico di Rsa?

Le reti famigliari – evidenzia Perati su Avvenire- nella maggior parte dei casi non sono in grado di offrire assistenza continuativa 24 ore al giorno. Per questo ci si rivolge alle Rsa.

“La quasi totalità dei famigliari che arriva da noi ci dice: Non ce la facciamo più. Non ce la fanno più a gestire il proprio famigliare anziano a domicilio. E anche quando visito a domicilio, vedo le fatiche della famiglie. In cui magari il caregiver è uno solo, e non convivente. O i figli vivono lontano.
Lavoro in Rsa dal 1991. In quegli anni gli ospiti con decadimento cognitivo erano circa il 30% del totale. Oggi nelle due sedi di San Bassano e Pizzighettone sono tra l’86% e il 90%. La maggioranza di loro senza problemi comportamentali, ma qualcuno sì. Per questo motivo i Nuclei Alzheimer sono una vera risorsa”.

Il fatto che le famiglie continuino a scegliere e chiedere le Rsa, a dispetto di tanta denigrazione sui mass media nel periodo più buio della pandemia, evidenzia che si tratta di un servizio necessario e apprezzato.

“La lista d’attesa noi l’abbiamo sempre avuta. Oggi ci sono 300 persone in lista d’attesa, e noi abbiamo 520 posti. Con ospiti che arrivano non solo da Cremona, ma anche dal Milanese, e pure da fuori Lombardia.
Da molti anni la valutazione della customer satisfaction (questionari ai famigliari) dà risultati soddisfacenti. Da 5 anni, inoltre, abbiamo anche la valutazione fatta direttamente dagli ospiti della Rsa con la Scala Sant’Omobono. Noi abbiamo competenze che ospedali e territorio non hanno: queste competenze non devono restare dentro le nostre mura, ma essere patrimonio del territorio”.

 

Un esempio delle competenze degli operatori di Rsa…

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