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Rapporto medico paziente (1): il diritto alla salute e la necessità della comunicazione

Il rapporto medico-paziente è sempre stato complesso.

Tuttavia solo all’inizio del secolo scorso esso si è caricato di conflittualità, che in precedenza era sconosciuta se non quando, eccezionalmente, la reciproca fiducia tra i due interlocutori veniva a mancare.

Dai tempi di Ippocrate fino al medioevo e poi alla prima metà del secolo ventesimo, il principio di riferimento del rapporto medico-paziente era la beneficialità: il medico realizzava il bene del paziente sollevandolo da sofferenza e malattia. Di qui si poteva finire al paternalismo medico.

Nell’epoca moderna si affermano invece il diritto alla salute e all’informazione e con essi il principio dell’autonomia cioè della scelta del paziente, consapevole e libera, anche quando puo’ essere irragionevole.

Più recentemente alcuni autori hanno meglio articolato questi principi disegnando i modelli di rapporto tra medico e paziente:

  • paternalistico, attualmente applicabile solo in caso di emergenza
  • informativo, con nessuno spazio alle opinioni personali del medico
  • interpretativo: il medico aiuta il paziente a riflettere sui propri valori e a dare un significato alle proprie scelte, senza influenzarlo
  • deliberativo: il medico informa il paziente sui valori e aspetti clinici di ogni singolo intervento, con un ruolo attivo nell’indicargli cosa deve fare

Non basta saper curare, bisogna sapersi relazionare

La comunicazione tra medico e paziente è oggi un argomento di riflessione etica più che un problema di organizzazione assistenziale, di tecniche di comunicazione o di virtù personali. Il rispetto della persona nella sua totalità e la valorizzazione costante del rapporto medico- paziente sono alla base dell’impostazione personalista della medicina.

Vita e salute sono attribuiti alla persona: ciascuno ha il diritto-dovere di osservarli responsabilmente. E quindi da un lato il paziente ha il dovere di custodire e promuovere la propria salute; dall’altro il medico è “prestatore d’opera” qualificato a prevenire e/o curare la malattia. Anche se in medicina la tecnologia ha un passo piu’ veloce della bioetica, per “prendersi cura” l’efficienza è necessaria, ma non è sufficiente.

C’è una grande necessità di imparare ad affrontare nel quotidiano il dolore, la sofferenza, la malattia, la cura, l‘ospedalizzazione, la morte, la comunicazione della verità.

L’etica ha molto da dire sul profilo che deve assumere la nuova relazione terapeutica: ma non saranno gli esperti di etica a realizzare questa relazione, bensì i professionisti sanitari.

Solo negli ultimi anni, nelle università italiane, si e’cominciato ad insegnare agli studenti di medicina e affini come relazionarsi con il malato. Ci si deve preparare a riconoscere e gestire l’incredulità, lo shock, la paura, la rabbia, la ribellione, l’ansia, le lacrime.

D’altro canto l‘etica è diventata oggi anche una questione pubblica: ogni decisione del medico non può non essere giustificata di fronte al paziente,ai familiari, ai colleghi, ai giudici.

Gabriella Zottarel, medico, Fondazione Care

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