I giorni di permesso ex legge 104/92 non sono giorni di ferie in cui fare ciò che si vuole. Ma nemmeno è obbligatorio che il lavoratore si dedichi al parente persona disabile esattamente nelle ore in cui avrebbe dovuto lavorare. E ci può essere spazio anche per bisogni ed esigenze personali del lavoratore stesso.
Lo spiega la Corte di Cassazione nella sentenza 3209 depositata il 23 dicembre 2016, e lo illustra il commento pubblicato su Quotidianosanita.
La Cassazione specifica, richiamando anche la precedente sentenza 4106/16, che la norma sui tre giorni di permesso ha una duplice finalità:
- consentire al lavoratore di prestare la propria assistenza con ancora maggiore continuità
- consentire al lavoratore, che “con abnegazione dedica tutto il suo tempo al famigliare handicappato, di ritagliarsi un breve spazio di tempo per provvedere ai propri bisogni ed esigenze personali”
Non è però obbligatorio, sottolinea la Corte, prestare assistenza alla persona disabile proprio nelle ore in cui il lavoratore avrebbe dovuto prestare la propria attività lavorativa, bensì il lavoratore deve essere libero “di graduare l’assistenza al parente secondo orari e modalità flessibili che tengano conto, in primis, delle esigenze dell’handicappato”.
Non è possibile però che il lavoratore nei giorni di permesso 104 parta per un viaggio di piacere all’estero allontanandosi dalla persona disabile, come accaduto nel caso che ha portato a questa sentenza della Cassazione.
Colpisce vedere che la Cassazione usa il termine “handicappato”, che al giorno d’oggi suona poco rispettoso, e che nessun operatore del settore userebbe, guardando in faccia le persone con disabilita’ cui si dedica. Ma “handicappato” è il termine usato dalla stessa legge 104.
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