L’esame del Dna dimostra la paternità
L’ordinamento italiano riconosce la prova della paternità con ogni mezzo (art. 269 del Codice civile).
Tale prova tuttavia, non è così semplice da raggiungere, e lo sviluppo scientifico-tecnologico ha assunto, in tale campo, sempre più importanza, Se infatti, la dichiarazione della madre o l’esistenza di rapporti sessuali all’epoca del concepimento non costituiscono di per sé prova certa della paternità naturale, l’accertamento mediante esami ematologici, quale l’esame del Dna, rappresenta oramai un risultato dimostrabile con un’attendibilità prossima alla certezza.
Concorda anche la Corte di Cassazione: con sentenza n. 14462/2008 ha affermato che la consulenza tecnica immunoematologia ha funzione di mezzo obiettivo di prova.
La richiesta a un presunto padre di sottoporsi all’esame del Dna non è subordinata né al fatto che sia stato provato un tradimento, né al fatto che la gravidanza sia stata tenuta nascosta (era così in passato).
L’importanza che ha assunto oggi tale prova, infatti, permette di richiederla in ogni circostanza (Corte Costituzionale. sentenza n. 266 del 6.07.2006 e Corte di Cassazione, sentenza n. 15088/2008).
Ma se il presunto padre non vuole fare il test?
Nessuno può essere costretto a sottoporsi a procedimenti invasivi della propria persona contro il suo volere. Tuttavia deve anche e soprattutto essere tutelato il diritto del figlio a conoscere le proprie origini. Per questo la giurisprudenza è intervenuta affermando che, anche quando non c’è la possibilità di fare accertamenti ematologici (come il test del Dna) circa la paternità naturale è comunque possibile arrivare alla prova della paternità attraverso la lettura di più elementi precisi e concordanti.
Afferma la Cassazione (sentenza 1733/2008) che lo stesso rifiuto del presunto padre di sottoporsi agli esami ematologici può costituire oggetto di convincimento del giudice se “globalmente considerato ed in opportuna correlazione con le dichiarazioni della madre”.
Ma se il presunto padre è morto?
Possono comunque essere effettuati test ematologici su fratelli o sorelle; se questi si rifiutano, tale atteggiamento potrà essere valutato dal giudice in modo favorevole alla paternità naturale del defunto.
E se non ci sono neppure (presunti) parenti su cui poter fare il test?
Il giudice, anche in questo caso, potrà comunque raggiungere la prova della paternità naturale del defunto attraverso la lettura di elementi tra loro concordanti quali per esempio il trattamento del presunto figlio come tale da parte del presunto padre, o la notorietà della filiazione (Cass. Civ. sentenza n. 10007/2008).
Avv. Paola Turri
Qui gli altri interventi dell’avv. Turri per www.uneba.org
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