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Esperti Uneba – Bisogna credere al dolore altrui

Pubblichiamo un nuovo contributo a cura della Fondazione Care,

Il dolore viene comunemente definito come “una spiacevole esperienza sensoriale ed emotivacomponente emozionale associata ad un reale o potenziale danno tissutale” (IASP, International Association for the Study of Pain, 1994). Il dolore, dunque, non è solo una sgradevole esperienza sensoriale. Il coinvolgimento, ormai ben documentato, di alcune strutture filogeneticamente antiche del cervello, facenti parte del così detto sistema limbico, spiega, infatti, la componente emozionale associata al dolore e l’impatto che il dolore ha sul tono dell’umore, e più in generale sugli aspetti inconsci della vita affettiva.

Queste strutture sono inoltre implicate nei processi di memorizzazione. Non deve dunque meravigliare se un’esperienza dolorosa, in particolare se associata ad un’importante coloritura affettiva, lasci un ricordo di sé e che tale ricordo possa influenzare la successiva percezione di esperienze analoghe. Inoltre, il dolore può modificare l’omeostasi di molti sistemi fisiologici come il ritmo sonno-veglia, il sistema endocrino e quello immunitario.

Dobbiamo guardare al dolore, ed in particolare al dolore cronico, come ad una esperienza soggettiva complessa e, come tale, unica e personale; ciò che è dolore per una persona può non esserlo per un altra e viceversa. Da qui deriva una prima considerazione: bisogna credere al dolore altrui.

Il dolore è stato per secoli considerato come inevitabile componente della malattia e dell’invecchiamento. Il così detto “dolore fisiologico”, il dolore cioè che può accompagnarsi alle normali attività della vita e che ha una funzione meramente protettiva e di avvertimento, è in realtà solo la punta di un iceberg rispetto al "dolore patologico", sia esso nocicettivo, che origina cioè dalla stimolazione dei recettori del dolore, o neuropatico, quando origina al di fuori di essi. In ogni caso il dolore, una volta assolta la funzione di allarme, di cartesiana memoria, deve essere misurato e trattato.

Dopo anni di oblio finalmente qualcosa sta cambiando. Stiamo prendendo coscienza di un sintomo considerato per molto tempo estraneo alla cultura sanitaria.

Ne è dimostrazione il fatto che il dolore stia comparendo, in sordina, tra i parametri vitali registrati nelle cartelle cliniche dei pazienti.

Parallelamente, negli ultimi anni, stiamo assistendo ad un aumento del consumo di morfina, considerato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità un’indicatore della qualità di un Sistema Sanitario.

Questi fatti ci fanno ben sperare, ma rimane ancora molto da fare.

Riccardo Carlon

medico chirurgo, specialista in anestesia e rianimazione

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