Sul tema della gestione delle visite agli ospiti delle strutture sociosanitarie in questo periodo di emergenza dovuto alla pandemia, su cui tante voci già si sono espresse, pubblichiamo un intervento del presidente nazionale Uneba Franco Massi.
Nelle nostre strutture accogliamo persone fragili, e offriamo loro il conforto di una vita di comunità, con trame il più possibile fitte di relazioni.
Con il Covid fragilità e vita di comunità diventano fattori di rischio, ma restano elementi irrinunciabili.
Con pandemia ci ritroviamo stretti tra due doveri, che per noi operatori del non profit sono anzitutto doveri etici e di fedeltà ai nostri valori.
Da un lato, vogliamo e dobbiamo continuare a garantire a chi accogliamo vita di comunità e relazioni umane, fondamentali per la loro serenità; dall’altro, dobbiamo e vogliamo continuare a proteggere dal pericolo di contagio le persone accolte , i lavoratori delle strutture, le loro famiglie. E sentiamo forte la responsabilità di proteggere anche le nostre comunità e territori: non vogliamo assolutamente essere focolai.
Ma purtroppo i due doveri sono in conflitto.
Più permettiamo a un anziano incontri e relazioni, meno lo proteggiamo dal contagio. Oltre a mettere a rischio chi lavora con lei/lui e chi lo incontra.
Più lo proteggiamo dal contagio, meno gli permettiamo vita di relazione. Ma allo stesso tempo comprendiamo il disagio di quei familiari che tanto vorrebbero incontrare il loro caro, a conforto suo e loro.
LIBERTA’ O PROTEZIONE
Le strutture Uneba vivono, mille volte amplificato, lo stesso dilemma delle scuole, di tutti noi. Lo stesso su cui dibatte la politica. Allentare le restrizioni o mantenerle? Più libertà o più protezione?–
Inoltre, fin dall’inizio della pandemia, tantissime strutture hanno attivato servizio di videochiamata anziani-famiglie, aiutando gli anziani a utilizzare questo strumento che permette contatti e relazioni, seppur con i limiti della distanza.
Lo dicono esperti e numeri: le misure di prevenzione particolarmente restrittive adottate dall’Italia sono probabilmente uno dei motivi per cui oggi il Covid19 ha numeri inferiori da noi rispetto a molti paesi vicini. L’enorme sacrificio di limitare i contatti con e delle persone più fragili è una di queste misure.
FERITI, MA INDISPENSABILI
Nessuno più delle strutture sociosanitarie e assistenziali per anziani e persone con disabilità ha sofferto la pandemia. Nei primi mesi, malgrado anche le nostre strutture siano parte appueno del Sistema Sanitario Nazionale, attenzione e risorse sono state tutte e solo per gli ospedali.
Reperire mascherine e altri DPI era impossibile, malgrado a gran voce noi di Uneba, e altri li chiedessimo. Mesi abbiamo dovuto attendere e insistere per avere tamponi per gli ospiti e per il personale.
Che l’esperienza drammatica della pandemia ci indichi vie di miglioramento per le strutture sociosanitarie è evidente.
Ma immaginare la completa chiusura delle Rsa è folle. I posti letto in residenze sanitarie per anziani e persone con disabilità in Italia sono oltre 300 mila. Molte di queste donne e uomini sono in condizioni di salute troppo fragili per essere assistiti da famigliari, oltretutto spesso privi di preparazione specifica. Molti sono senza famiglia, o hanno famiglie – ad esempio, famiglie composte da una sola persona- in cui sarebbe impossibile accogliere l’anziano in casa. Esistono patologie neurodegenerative assai difficili da gestire in famiglia, anche per le conseguenze sulle relazioni in famiglia. L’assistenza domiciliare non può essere totale.Molti anziani non autosufficienti, se non fossero accolti nelle strutture residenziali, non sarebbero a casa: sarebbero lungodegenti in ospedale.
Siamo convinti fautori della necessità di un dibattito sul futuro dei servizi sociosanitari residenziali, dell’assistenza domiciliare e dei servizi territoriali, perchè l’esperienza dolorosa del Covid19 ci aiuti a offrire un servizio sempre migliore alle persone più fragili nelle nostre comunità.
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