“Operare nelle organizzazioni di cura: spunti per una nuova etica del lavoro” è la relazione portata al convegno nazionale Uneba di ottobre 2024 da Giorgio Mion, docente del Dipartimento di Management dell’Università di Verona e consigliere di amministrazione dell’associato Uneba Veneto Fondazione Pia Opera Ciccarelli. Oltre alle slide, proponiamo questa riflessione di Mion di sintesi del suo intervento, pubblicata anche sul numero di dicembre 2024 di Nuova Proposta.
“Operare nelle organizzazioni di cura: spunti per una nuova etica del lavoro”
Il panorama delle organizzazioni che si occupano di servizi sociosanitari è oggi molto differenziato sotto diversi profili: forma giuridica, dimensioni, grado di specializzazione, ma anche vocazione originaria di riferimento, tra le quali il non profit di origine cattolica gioca un ruolo importante.
D’altra parte, la dinamica della domanda sta generando la necessità di una modifica sostanziale dei business model delle organizzazioni di cura, indipendentemente dalla loro forma giuridica.
Il modello “tradizionale” vedeva nella dimensione sociale (accoglienza, protezione, socializzazione) l’elemento fondamentale della value proposition, mentre oggi la creazione di valore per l’ospite risiede nella capacità di affrontare problematiche sanitarie complesse (situazioni pluripatologiche, demenze gravi), di innovare i servizi e di differenziarli.
In questo contesto, la regia pubblica sui servizi rivolti alle persone fragili appare fragile sotto diversi punti di vista: anzitutto, in termini di coerenza tra sistemi regionali spesso molto differenziati, anche nella terminologia adottata, ma soprattutto per il sottofinanziamento di servizi ad elevata complessità rivolti a persone molto fragili e, infine, per l’Incapacità di fungere da facilitatore di sistema.
Se la complessità della gestione degli enti che erogano servizio sociosanitari aumenta, d’altra parte un tema cruciale è oggi quello del lavoro di cura. Esiste un tema fondamentale di desiderabilità sociale di tali professioni, fatta eccezione per quella di medico, seppure anche per i medici in formazione esistano notevoli differenze in termini di orientamento alle diverse scuole di specializzazione. La disaffezione alle professioni di cura è sicuramente causata anche dai livelli retribuitivi inferiori rispetto a lavori di minore complessità professionale ed emotiva, ma grande rilevanza assumono anche lo scarso riconoscimento sociale (basti pensare ai molti episodi di aggressioni in ambito sanitario) e l’insufficiente orientamento scolastico-formativo.
Esiste un tema fondamentale che opera a monte della stessa questione professionale: il riconoscimento della “cura” come un processo che genera valore in termini economici e sociali.
Valore per il beneficiario spesso in condizioni di elevata fragilità, valore per la comunità, valore per il sistema economico, seppure non sempre valorizzato, ad esempio quando svolto in ambito familiare ovvero da volontari.
I lavori di cura risentono di quella “cultura dello scarto”, espressione cara a papa Francesco, che riduce all’invisibilità ed all’insignificanza le persone vulnerabili, escludendole (e con loro coloro che se ne prendono cura) dalle dinamiche socioeconomiche dominanti. Si pone, dunque, un tema etico fondamentale: la cura della fragilità non è un processo “di risulta”, ma un elemento che contraddistingue, dal punto di vista politico (in senso proprio di “vita della polis”, la qualità delle relazioni sociali e, dal punto di vista economico, il sistema produttivo in termini di inclusività e democraticità.
Gli enti di ispirazione cristiana hanno, in questo senso, una responsabilità fondamentale perché sono “figli di un carisma” e, dunque, di un “dono che abilita” l’azione organizzativa verso il bene comune. La responsabilità è duplice: da un lato, riguarda l’autenticità dei valori che guidano il lavoro di cura, ponendo al centro le persone fragili e, dall’altro lato, chiama in causa un ruolo politico di advocacy verso il diritto di tutti gli attori in campo di vedersi riconosciuto il prezioso ruolo socioeconomico.
Questo determina la necessità di agire in quattro direzioni, tra loro non indipendenti.
- Anzitutto, vi è la necessità di riposizionare le professioni di cura entro una ben definita etica del lavoro. In un’epoca che – per citare Bauman – vede il nomadismo professionale come elemento che caratterizza il mondo del lavoro, con una perdita di riferimenti stabili (anche in termini etici), troppo spesso si riduce il lavoro di cura alla mera compravendita di un “monte-ore” necessario per il funzionamento (se non solo per l’accreditamento) delle strutture sociosanitarie, favorendo una sorta di “dumping” basato sulle differenze contrattuali. Si avverte, invece, il forte bisogno di una riqualificazione morale della professione di OSS, infermieri ed altri professionisti. Tale “ripristino” parte da una non formale aderenza valoriale/motivazionale ai carismi di nascita degli enti sociosanitari, ma si dipana anche nell’implementazione di organizzazioni “virtuose” capaci di coltivare la capacità di agire bene e per il bene, attraverso l’implementazione di strumenti gestionali ed organizzativi quali la promozione del clima aziendale, la realizzazione di strutture decisionali partecipative, la realizzazione di équipe multiprofessionali orientate alla presa in carico olistica e non funzionale.
- In secondo luogo, bisogna operare a livello di orientamento alla formazione alle professioni di cura: troppo spesso alla formazione alle professioni di cura – soprattutto quelle ritenute tradizionale più “umili” – si arriva solo come frutto di riorientamento rispetto ad altri percorsi formativi, se non come fallimento di altri percorsi di vita. Ciò non contribuisce a determinare un’etica del lavoro che supera la mera compravendita di prestazioni. Si sottolinea, invece, il bisogno di una crescita nella cultura professionale della cura già nell’orientamento scolastico/universitario e professionale. Si tratta di una responsabilità condivisa tra diversi enti formativi ed operativi; sicuramente, da parte degli enti sociosanitari, c’è il bisogno di far conoscere le potenzialità di sviluppo umano e professionale di coloro che si affacciano alle professioni di cura, unitamente ad uno sforzo congiunto con gli stessi per il giusto riconoscimento economico per il loro lavoro, complesso ed usurante. In questa direzione va anche la necessità di pensare con serietà allo sviluppo di percorsi tutelati e snelli a favore di flussi migratori di persone qualificate e motivate ai lavori di cura che consenta, nel contempo, lo sviluppo personale dei professionisti stranieri, l’armonico inserimento nei gruppi di lavoro ed il mantenimento di livelli qualitativi adeguati nei servizi erogati.
- Ancora, in terzo luogo, il cambiamento dei business model richiede un parallelo cambio di passo anche nelle funzioni manageriali di coordinamento dei servizi sociosanitari. La “buona amministrazione” e la compliance normativa non sembrano più sufficienti per gestire organizzazioni complesse, rispondere alla value proposition sopra descritta e creare le condizioni per la sostenibilità degli enti. I temi dell’innovazione (digitalizzazione, differenziazione delle professionalità a servizio della persona anziana, modelli di cura sistemici), della generazione di impatto sociale e della capacità di trovare nuove strade per conciliare specificità e sostenibilità (economie di scala) richiedono un approccio propriamente manageriale. Questo deve essere supportato da competenze in tema di 1)pianificazione strategica, 2)organizzazione aziendale, 3)leadership e 4) gestione dei gruppi di lavoro, oltreché da competenze soft quali 5) l’empatia e 6) la capacità di lettura etica dei contesti di lavoro.
- Ultimo ma cruciale è, infine, il tema del valore sociale del lavoro di cura. Tutto quanto sopra affermato può essere efficace solo se inserito in un prodromico contesto socioculturale rinnovato, frutto di una responsabilità condivisa a diversi livelli (autorità pubbliche, enti, lavoratori e sindacati, famiglie) per una nuova narrativa della cura.
Giorgio Mion (Dipartimento di Management, Università di Verona)
Riprende alcuni di questi temi il documento conclusivo del convegno Uneba di San Giovanni Lupatoto con i 7 appelli Uneba alla politica