Non bisogna definire il non profit in base alla lucratività oggettiva, bensì a quella soggettiva.
Cioè: non in base al fatto che la sua attività commerciale è assente o ridottissima, bensì in base al fatto che utilizza i proventi dell’attività commerciale per il perseguimento della propria mission sociale.
A sostenere questa tesi è l‘Agenzia delle Entrate, nel corso della sua audizione alla Camera in merito alla riforma del Terzo Settore.
L’intervento dell’Agenzia delle Entrate alla Camera sulla riforma del Terzo Settore
Si tratta, spiega l’Agenzia, di modificare la prospettiva di fondo del legislatore.
La fiscalità di vantaggio per il non profit, per fare un esempio, invece, “è imperniata quasi totalmente – sottolinea l’Agenzia nell’audizione – intorno alla rilevanza della loro non lucratività oggettiva, piuttosto che intorno a quella soggettiva”. Ma questo “non sembra collimare né con la realtà del Terzo Settore, né con la sua funzione all’interno del sistema produttivo del Paese”.
Basti ricordare, come fa l’Agenzia, che le risorse arrivano al Terzo Settore per il 66% dal settore privato e solo per il 34% dall’ente pubblico. E “le sue entrate derivano per il 47,3% dallo svolgimento di attività commerciali”.
Oggi, evidenzia l’Agenzia, gli spazi per l’attività commerciale del non profit sono molto ristretti. “Si pensi all’impossibilità di sponsorizzazione in partnership con aziende for profit; più ingenerale, si pensi all’impossibilità di svolgere attività commerciali diverse da quelle istituzionali o connesse per un mero scopo di autofinanziamento di queste ultime”, scrive l’Agenzia.
“Va dunque apprezzata – si legge nella relazione presentata alla Camera – la possibilità di ripensare l’attuale regime di tassazione del Terzo Settore alla luce delle finalità solidaristiche e di utilità sociale, della non lucratività soggettiva e dell’impatto sociale, così come delineato dalla lett. a) del comma 1 dell’art. 6 del ddl in discussione. (…) Resta ovviamente il problema di costruire un sistema normativo in grado di verificare le finalità solidaristiche e di utilità sociale, il divieto di ripartizione (diretta e indiretta) degli utili e di misurare l’impatto sociale”.
Nel suo intervento alla Camera, l’Agenzia sottolinea anche:
- la normativa sul Terzo Settore è estremamente frammentata e disorganica, e servirebbe un Testo Unico
- nel tempo, il fulcro della normativa si è spostato “dalla disciplina codicistica verso quella extra-codicistica, e, in particolare, fiscale. Ciò implica che qualsiasi intervento di riforma non può limitarsi alla modifica del codice civile, ma deve necessariamente coinvolgere e coordinarsi con la normativa fiscale”
- per il 5 per mille è necessario verificare i requisiti della “meritevolezza”, al fine di destinare le risorse pubbliche ai soli enti efficacemente selezionati, rendere più semplice la procedura di iscrizione e più rapida l’attribuzione delle somme.
Sul tema della riforma del terzo settore:
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