Lavorare in Rsa è di soddisfazione. L’affetto e la gratitudine che si ricevono dagli anziani sono in dono che riempie il cuore.

A testimoniarlo sono quattro giovani che lavorano in enti Uneba tra Puglia e Lombardia come oss, educatrice, infermiere.

Sono i protagonisti di “Giovani operatori, la bellezza di accudire quelle vite al crepuscolo”, approfondimento di Sabina Pignataro su Vita

Giovani che lavorano in Rsa con gli anziani – Leggi le testimonianze

Far ritrovare agli anziani la voglia di sorridere, di chiacchierare

“Per me lavorare con gli anziani significa entrare nelle stanze al mattino per dare un sorridente buongiorno; tirare le tende per far entrare il sole e abbassare lentamente le coperte sulle gambe calde di un anziano ancora assopito; riuscire a strappare un piccolo sorriso a labbra ormai scalfite dalla
tristezza; far parlare un uomo la cui voce non si sentiva più da tempo; tingere le unghie o le labbra di rosso ad una donna che si sente morta dentro, facendole capire quanto sia bella ai nostri occhi”.

“Ci si trova spesso a dover fare i conti con dei mostri invisibili quali la morte, la malattia, la sofferenza, ma è proprio lì che ci si scopre ancora più capaci di dispensare amore: è un lavoro che va contro le leggi della  matematica: più dai, più ricevi”.

Alice Pozzi, 26 anni, oss alla Opera Don Guanella di Castano Primo (Milano)

 

Sguardi pieni di speranza

“Per un ragazzo giovane, non è semplice condividere la scelta di lavorare in Rssa perché molte sono le critiche che vengono sollevate (soprattutto dai coetanei) e con cui quotidianamente mi scontro: la poca e limitata crescita professionale, la monotonia, lo stipendio”.
“Essere infermiere mi ha insegnato ad accogliere il giorno nuovo come un dono; il cuore si riempie di amore, di sorrisi, di gratitudine, di carezze, di poche e semplici parole, di sguardi pieni di speranza che mi ricordano di essere stato un ‘girasole’ per qualcuno”.

Vito Gagliardi, 26 anni, infermiere alla Rssa Mamma Rosa a Turi (Bari)

 

Per l’anziano sei tu l’abbraccio sicuro

“Dagli educatori ci si aspetta che si prendano cura dei bambini o dei soggetti fragili ma nessuno si sofferma a pensare di quanto anche gli anziani abbiano bisogno di una carezza o di spensieratezza nei momenti in cui per i familiari non è possibile”.

La gioia più grande “è vedere che nonostante la malattia, tu diventi un punto fermo, l’abbraccio sicuro per qualcuno”. La parte più faticosa “è la responsabilità di sapere di essere una delle persone che riempiono le giornate nell’ultimo momento dellavita di una persona”.

Chiara Di Cristinzi, 30 anni, educatrice al Centro Girola di Fondazione Don Gnocchi a Milano

 

Ascolto e sensibilità

«Per lavorare con gli anziani «non basta essere brave persone, occorre maturare esperienza da trasformare poi in competenza: serve un’attenta osservazione, un ascolto attivo e un pizzico di sensibilità»

Giorgia Magnoni, 25 anni, educatrice professionale alla casa di riposo San Gaetano -Don Guanella di Caidate (Varese)