Molte volte le associazioni di volontariato si trovano a dover utilizzare l’apporto di collaboratori non volontari per espletare le proprie attività istituzionali, non rispettando quindi quel rapporto prevalente da parte dei volontari previsto dalla legge.266/91.
Nel corso degli ultimi anni il welfare state ha chiesto parametri gestionali sempre più rigorosi e precisi, ai quali hanno dovuto adeguarsi anche gli enti non profit convenzionati. Molti di tali enti hanno migliorato la qualità dei servizi offerti, integrando l’organizzazione con specifiche professionalità non sempre reperibili nel mondo del volontariato. In altre parole, l’apporto del personale dipendente, di collaboratori e di professionisti esterni in certe occasioni è diventato essenziale nell’espletamento del servizio convenzionato.
Come tutti gli operatori del volontariato sanno, è proprio a questo punto che nascono i problemi: da un lato viene richiesto agli enti l’apporto di personale qualificato, dall’altro c’è un inquadramento giuridico del mondo non profit non del tutto compatibile con il minor utilizzo di volontariato.
Forse che il volontariato vada confinato ad un ruolo produttivo e sociale marginale?
Tale evenienza va scartata con fermezza; i numeri raggiunti e le convenzioni sottoscritte dagli enti in questi ultimi anni dimostrano il contrario. Il prolungarsi della crisi economica ha infatti accentuato il ruolo degli enti non commerciali quali erogatori privilegiati di servizi sociali.
La criticità della questione sta proprio in un impianto normativo, in una legge quadro, oramai superati, che necessitano di un sostanziale e profondo lifting.
In questo ambito si colloca la riforma del Libro Primo del Codice Civile il cui testo è stato presentato in Consiglio dei Ministri nello scorso giugno e che dovrebbe vedere la luce entro fine anno. La riforma, promossa dal Guardasigilli Alfano con lo slogan “Più libertà, meno Stato”, prevede l’esercizio di attività di impresa anche per le associazioni e le fondazioni, purché strumentali agli scopi sociali.
Ovviamente, al fine di evitare eventuali abusi e sforamenti nell’attività puramente commerciale, vengono posti alcune restrizioni e accorgimenti quali la tenuta di contabilità separata tra gestione sociale e quella imprenditoriale (cosa non del tutto nuova per il non profit), facoltà di creare patrimoni separati per l’attività d’impresa, previsione della totale devoluzione di eventuali utili residui ai fini istituzionali.
E’ auspicabile che tale riforma arrivi presto al traguardo e che costituisca un vero e proprio inizio di quella stagione di razionalizzazione delle norme civilistiche e fiscali relative al non profit.
Al momento non ci resta che convivere con l’odierno spezzatino legislativo, “divertendoci” con attività più o meno istituzionali, più o meno commerciali, più o meno connesse, con più o meno stravaganti richieste per i rinnovi delle iscrizione agli albi delle associazione, con il dilemma IVA o non IVA, con l’inquadramento assicurativo dei volontari, con i rimborsi spese (vedi le novità per gli organi collegiali), con rendiconti e rendicontazioni di ogni tipo…
Donatello Ferrari
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