A conclusione dell’articolato tema delle violenze familiari, trattato in questo e questo precedente articolo, l’avvocato Paola Turri, collaboratore di www.uneba.org, presenta in forma sintetica quali sono i rimedi civili e penali che la legge riconosce alle vittime di tali soprusi. Questo al fine di poter dare una risposta, magari anche generica, a coloro che, vittime di reati più o meno gravi, si domandino: “e adesso che cosa succederà?”
Nel complesso si può affermare che la legge si è dimostrata piuttosto sensibile al problema delle violenze familiari e negli anni ha introdotto una serie sempre più articolata di rimedi, sia in sede civile che penale, per combattere tali soprusi e per fornire alle vittime strumenti per tutelarsi.
Tuttavia, c’è da precisare che il legislatore, non volendo invadere eccessivamente l’ambito familiare, tende ad intervenire soltanto quando l’equilibrio è ormai compromesso e si sono già innescati, nell’ambito della famiglia, quei meccanismi che conducono inevitabilmente alla rottura definitiva dei vincoli affettivi. Il diritto è infatti restio a frapporsi nei contrasti intrafamiliari, se non quando le vittime siano dei minori, o, comunque, si configurino ipotesi di gravi reati (ad esempio maltrattamenti o violenze sessuali).
RIMEDI IN SEDE PENALE
In ambito penale le forme di intervento legislativo si differenziano a seconda della fase processuale in cui siamo.Il Giudice può, ancora durante la fase delle indagini preliminari, adottare delle misure cautelari a tutela della vittima del reato; e successivamente, in sede di giudizio, condannare l’imputato e disporre eventuali o obbligatori pene accessorie.
Qui trattiamo principalmente quali sono i mezzi a disposizione a tutela delle vittime di violenze familiari nella fase iniziale, cioè quando la vittima denuncia le violenza subite e fa innescare il procedimento giudiziale: quindi nella fase di indagini, o comunque a giudizio ancora pendente.
Il Giudice in questa fase ha il potere di adottare delle misure cautelari che si distinguono in
1) misure cautelari personali
a sua volta distinte in
a) misure cautelari coercitive quali:
- divieto di espatrio (art. 281 del codice di procedura penale)
- obbligo di presentazione periodica alla polizia giudiziaria (art. 282 c.p.p.)
- divieto di dimora (art. 283 c.p.p.)
- obbligo di dimora in un dato Comune (art. 283 c.p.p.)
- arresti domiciliari (art. 284 c.p.p.)
- custodia cautelare in carcere (art. 285 c.p.p.)
- custodia in luogo di cura (art. 286 c.p.p.)
b) misure cautelari interdittive, cioè che incidono solo sulla sfera giuridica del soggetto agente, impedendo o limitando l’esercizio di taluni diritti o facoltà:
- sospensione dall’esercizio della potestà dei genitori (art. 288 c.p.p.)
- sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio (art. 289 c.p.p.)
- divieto temporaneo di esercitare determinate attività professionali o imprenditoriali (art. 290 c.p.p)
2) misure cautelari reali
relative a disposizioni patrimoniali della persona che avrebbe commesso il reato.
Entrambi i tipi di misure cautelari, personali e reali, sono finalizzate non solo alla conservazione della prova, ma anche alla difesa sociale delle vittime del reato e delle persone che sono ad esse strettamente legate.
Allontamento dalla casa familiare
In particolare, in tema di violenza familiare, il legislatore ha introdotto, con la l.154/01, la misura cautelare dell’”allontanamento dalla casa familiare” (art. 282 bis c.p.p.).
Il Giudice, infatti, può obbligare l’indagato ad allontanarsi dalla casa familiare e a non farvi più rientro se non con espressa autorizzazione dello stesso Giudice (il rientro potrebbe rendersi necessario, ad esempio, per recuperare effetti personali). Eventuali autorizzazioni periodiche potrebbero, invece, essere finalizzate alla ricostruzione delle relazioni familiari, con particolare riferimento ai figli, nel caso in cui la condotta dell’indagato dovesse far ritenere attenuate le esigenze di cautela.
In particolari casi, inoltre, il Giudice, accanto all’obbligo di allontanamento dalla casa familiare, può imporre all’indagato di versare periodicamente un assegno a favore delle persone che, con lui conviventi, rimangono prive di sostentamento (è il caso del padre che tiene comportamenti violenti verso i figli e che, allontanato da casa, deve comunque provvedere al loro mantenimento).
Nei casi in cui esistano esigenze di tutela dell’incolumità della persona offesa o dei suoi prossimi congiunti, infine, il Giudice può imporre all’indagato l’obbligo di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa (quali il luogo di scuola o di lavoro, il domicilio della famiglia di origine o dei prossimi congiunti). Questo a meno che la frequentazione sia necessaria per motivi di lavoro: in questo caso il Giudice dispone le relative modalità o limitazioni.
RIMEDI IN SEDE CIVILE
Per quanto riguarda i mezzi civilistici a disposizione per la tutela contro le violenze familiari, ed in particolare le violenza contro i figli, si segnalano principalmente gli articoli 330 e 333 del codice civile.
In particolare il Giudice potrà, oltre che disporre l’allontanamento dalla casa familiare ai sensi degli artt. 342 bis e seguenti del codice civile e art. 736 bis del codice di procedura civile, disporre anche la decadenza della potestà sui figli ex art. 330 c.c. quando il genitore viola o trascura i doveri inerenti la sua potestà o abusa dei relativi poteri con grave pregiudizio.
Infine, l’art. 333 c.c. prevede che “quando la condotta di uno o di entrambi i genitori non è tale da dare luogo alla pronuncia di decadenza prevista dall’articolo 330, ma appare comunque pregiudizievole al figlio, il Giudice secondo le circostanze può adottare provvedimenti convenienti e può anche disporre l’allontanamento di lui dalla residenza familiare ovvero l’allontanamento del genitore o convivente che maltratta o abusa del minore. Tali provvedimenti sono revocabili in ogni momento”.
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