Il Ministero del Lavoro, con interpello n.39 del 5 novembre 2010, ha fornito un chiarimento, in risposta ad un interpello presentato dall’Associazione Nazionale dei Comuni d’Italia, in merito al congedo di maternità nel caso di adozione internazionale.
In particolare, il quesito dell’Anci riguardava la possibilità di considerare congedo di maternità ex art.26, co.3 del D.Lgs. n.151/01 il periodo trascorso dal dipendente all’estero per lo svolgimento della procedura adottiva, anche qualora la stessa fosse stata interrotta e quindi non si fosse conclusa con l’ingresso del minore in Italia.
Il Ministero ha risposto positivamente al quesito, nel senso che la lavoratrice o il lavoratore hanno diritto a fruire del congedo di maternità anche nel caso in cui la procedura di adozione internazionale venga interrotta.
Base giuridica del diritto
Il congedo di maternità in caso di adozioni internazionali è disciplinato dall’art.26, co.1-3-5 del D.Lgs. n.151/01, che prevede il diritto del lavoratore di fruire di un congedo di maternità di durata complessiva di 5 mesi.
Il congedo, può essere richiesto dalla madre o dal padre (anche qualora la madre vi rinunci, ex art.31 del D.Lgs. n.151/01), e deve essere obbligatoriamente fruito entro i 5 mesi dall’ingresso del minore in Italia.
In ragione della complessità e della lunghezza della procedura di adozione, la norma prevede altresì la possibilità che una parte del congedo sia fruita prima dell’ingresso del minore, e cioè durante il periodo di permanenza all’estero necessario per gli adempimenti delle pratiche connesse alla procedura di adozione.
Ai fini della fruizione del congedo nel periodo precedente all’adozione, il lavoratore dovrà ottenere dall’ente autorizzato all’adozione un’apposita certificazione attestante il tempo trascorso all’estero. Tale certificazione dovrà infatti essere allegata dal dipendente alla domanda di congedo di maternità da presentare all’Inps (circolare Inps n.16/08).
Ne consegue che solo in questa specifica situazione il congedo di maternità può essere fruito in modo frazionato e cioè durante il periodo di permanenza all’estero, nonché successivamente all’ingresso del minore in Italia, ferma restando la durata complessiva di 5 mesi (escluso il giorno di ingresso in Italia).
L’adozione interrotta
Il Ministero con l’interpello 39 ha dunque confermato la possibilità di considerare il periodo trascorso all’estero come congedo di maternità ex art.26, co.3, D.Lgs. n.151/01, anche nell’ipotesi di interruzione della procedura di adozione a seguito di esito negativo degli incontri.
Per ottenere l’indennità Inps, il lavoratore è tenuto a presentare all’Istituto la domanda di maternità (modello MAT cod. SR01), a cui dovrà allegare la certificazione rilasciata dall’Ente che ha gestito la pratica di adozione, dove sarà specificatamente indicata la durata della permanenza all’estero.
Come precisato dall’Inps nella circolare n.16/08, la produzione di questo documento è indispensabile per ottenere la liquidazione dell’indennità da parte dell’Inps.
L’adozione andata a buon fine
Qualora, invece, la procedura adottiva vada a buon fine, il lavoratore/lavoratrice potrà fruire del congedo (intero o residuo, in caso di utilizzo parziale per i periodi trascorsi all’estero) successivamente all’ingresso del minore in famiglia e in Italia.
Il riconoscimento del trattamento economico a carico dell’Inps è in questo caso subordinato alla presentazione di copia dell’autorizzazione della Commissione per le adozioni internazionali (CAI-9) da cui si evinca la data di effettivo ingresso del minore.
Nel caso in cui l’adozione sia stata pronunciata nello Stato estero è necessario allegare copia del decreto del Tribunale dei minori di trascrizione del provvedimento di adozione nel registro di stato civile (o relativa autocertificazione).
Le medesime tutele e regole sopra descritte valgono in caso di affidamento preadottivo internazionale.
Il congedo non retribuito
In alternativa al congedo di maternità, per il periodo trascorso all’estero per l’espletamento delle pratiche pre-adottive, la/il dipendente può utilizzare un congedo che non è né indennizzato dall’Inps né retribuito dal datore di lavoro, così come previsto dal comma 4 dell’art.26 del D.Lgs. n.151/01.
Sebbene manchi una specifica disciplina, si ritiene che ai fini dell’ottenimento di questo congedo il lavoratore debba presentare una specifica richiesta al proprio datore di lavoro, nonché consegnare al rientro in azienda l’apposita certificazione emessa dall’Ente autorizzato che ha seguito la procedura di adozione attestante il periodo effettivamente trascorso all’estero per lo svolgimento delle pratiche.
Poiché tale congedo coinvolge soltanto il datore di lavoro, si ritiene che l’eventuale mancata esibizione dell’attestazione da parte dell’Ente autorizzato debba essere gestito con gli ordinari strumenti nell’ambito del rapporto individuale di lavoro.
Le medesime tutele e regole descritte valgono in caso di affidamento preadottivo internazionale.
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