Quello dell’epidemia di Covid 19 è un periodo molto difficile per chi opera in strutture per anziani, persone con disabilità, minori come sono gran parte di quelle Uneba.
Fin dall’inizio della crisi, Uneba, con il presidente Franco Massi, ha espresso la sua vicinanza a tutto il personale.
Ora abbiamo chiesto al consigliere Uneba Lombardia Virginio Marchesi, docente all’Università Cattolica di Milano, un approfondimento sulle difficoltà che il personale vive e su alcune strategie che si possono attuare per ridurre il carico, anche psicologico, sulle loro spalle.
Qui di seguito l’intervento di Marchesi.
Le strutture associate Uneba sono luoghi di cura.
Luoghi di vita nei quali la quotidiana fragilità di alcune persone si incontra con il quotidiano accudire di altre persone.
Luoghi dove la cura del sè sconfina nella cura dell’altro. Dove le persone sono ancora dei nomi.
TUTTO IL MONDO DEGLI ANZIANI, ORA, SONO GLI OPERATORI
Ora, con la forzata chiusura alle relazioni con l’esterno a causa dell’epidemia di Covid 19. in questi luoghi il tempo scorre con nuovi ritmi, nei quali la perdita delle relazioni affettive diventa centralità delle azioni, seppur ripetitive, quotidiane; e di queste azioni si caricano gli operatori.
La lontananza, imposta dalle regole, dagli affetti rende ancor più acuta, in molti dei nostri ospiti, la distanza dal proprio passato. Ma carica gli operatori di un nuovo ruolo, quello di essere la quotidianità del mondo – l’unico reale contatto col mondo- che squarcia la sofferenza della perdita.
Strutture come quelle Uneba oggi sono la “terza trincea”, dopo le case e gli ospedali.
Nella quotidianità ai tempi del Covid 19 delle strutture per anziani, per persone con disabilità, e anche per minori fuori famiglia, pur nella diversità delle situazioni, vi sono in questo periodo tre fondamentali aspetti che non possiamo non considerare:
- la natura della malattia e le paure che ci porta dentro: una situazione che pone agli accudenti nuovi problemi
- le restrizioni all’accesso dei familiari trasformano le residenze per anziani da luoghi di cura a luoghi “isolati”, determinando nuove dinamiche nelle relazioni degli accudenti con gli ospiti
- gli operatori si sentono “caricati” del pensiero di essere gli unici possibili “veicoli” dell’infezione, ma contemporaneamente non possono sottrarsi dal fare quel che fanno: si passa da una visione del loro ruolo come “persone buone” ad una visione di “pericolo” nelle relazioni con l’accudito
PAURE CHE BISOGNA POTER ESPRIMERE
Come affrontare questa situazione così complessa? Non esistono ricette predefinite, perché siamo di fronte ad una nuova situazione che pone problemi:
- la solitudine nell’esercizio del proprio ruolo: al di là della vicinanza lavorativa ogni operatore si porta dentro le proprie paure, le proprie ansie
- il rischio di essere “veicolo” dell’infezione e, contemporaneamente di portarla o di prenderla. Ogni persona (dall’accudito al collega) possono essere contemporaneamente vittime o agenti della malattia
- la morte non come ineluttabile conseguenza della estrema fragilità prodotta dal tempo che passa, ma come evento improvviso e, in certa misura, evitabile. “Se avessi fatto diversamente…”
- il bisogno di “portare fuori” tutte queste sensazioni, questi vissuti
Ecco alcune possibili strategie e azioni per far fronte a queste situazioni
- Utilizzare i DPI (dispositivi di protezione individuale) per ridurre significativamente i rischi. Più che un obbligo, deve divenire una scelta condivisa e consapevole
- sottolineare la dimensione di responsabilità personale: in questo momento ognuno è “padrone di se stesso” e del proprio “monitoraggio”. Serve attenzione al proprio stato di salute, serve superare la paura di comunicarne un peggioramento
- sono centrali i quadri intermedi – caposala, coordinatori ecc. – per garantire sensibile ascolto e comprensione del momento
- nei momenti di “passaggio delle consegne” a inizio e fine turno, prevedere (o accrescere) gli spazi destinati a descrivere le reazioni degli ospiti
- far sentire la vicinanza degli organi di governo delle strutture al livello degli operatori accudenti
- coinvolgere i familiari alla quotidianità, per esempio rendendo più frequente il dialogo dell’operatore di riferimento di ciascun assistito con i familiari di quest’ultimo, per descrivere la quotidianità delle cure. Ad esempio: oggi ha fatto il bagno, ha mangiato
- nel caso di specifiche esigenze di modifica della quotidianità della struttura, coinvolgere il personale
Cosa non fare
- nascondere situazioni critiche o comunque situazioni reali
- negare le difficoltà del momento
- imporre scelte dall’alto che vengano percepite come immotivate
Virginio Marchesi
1 Comment
Buonasera.lavoro in un rsa a (OMISSIS), tutto quello che lei dice e’ fonte di riflessione ogni giorno nel compiere il nostro dovere. Soprattutto in questo momento. Il carico psicologico ci logora forse molto più di quello fisico ,ormai al limite, ma proprio questo carico fisico ,ci impedisce di “fermarci” con l ospite. Ne siamo consapevoli e facciamo del nostro meglio,i nostro caposala sono consapevoli delle nostre emozioni e della nostra stanchezza fisica e psicologica ,e ci aiutano come possono, meno partecipe devo dire la dirigenza che non ritiene legittimo il nostro bisogno di informazioni sull’ evolversi della situazione dell infezione nella nostra struttura, riferendoci che non e’tenuta a farlo.questa mancanza di considerazione e di rispetto nei nostri confronti e soprattutto delle nostre famiglie la trovo meschina e poco degna di una direzione responsabile.prima di essere operatori sanitari siamo persone non solo numeri ,se lo ricordi chi crede di poter decidere al posto dell altro e di prevaricare con la p ropria posizione nella gerarchia sociale. Distinti saluti…. un OSS.