Le comunità appartenenti a ordini religiosi che accolgono ospiti dietro il pagamento di un corrispettivo svolgono attività commerciale.
I lavoratori impegnati nell’ospitalità alberghiera di queste comunità devono pertanto essere inquadrati nei contratti collettivi di riferimento, e non invece considerati e retribuiti come collaboratori domestici.
Lo afferma la Corte di Cassazione con la sentenza 17399/11.
Un lavoratore presso una casa generalizia di Roma aveva presentato ricorso per chiedere che gli fosse applicato il contratto dei dipendenti alberghieri per i suoi 35 anni di servizio fino al 1998, in cui aveva svolto attività di portinaio in una struttura con circa 80 ospiti tra laici e religiosi. Il dipendente era stato inquadrato e pagato come collaboratore domestico. Con il ricorso chiedeva invece di ricevere ora le differenze di retribuzione, Tfr, straordinario e tredicesima tra il contratto applicato e quello spettante.
Secondo la Cassazione infatti non si può considerare che l’uomo lavorasse in un “contesto di tipo famigliare” e quindi fosse una collaboratore domestico.
Sarebbe stato corretto inquadrarlo come collaboratore domestico, invece, se la sua attività fosse stata al servizio della vita quotidiana della comunità religiosa anziché della collegata ospitalità alberghiera.
Ed anche se i ricavi dei servizi di ospitalità non erano impiegati a fini di lucro, comunque quella dell’ospitalità era un’attività imprenditoriale. Solo con ospiti accolti gratis non lo sarebbe stato.
La Cassazione smentisce però anche la decisione della Corte d’appello in merito al livello di inquadramento del lavoratore all’interno del ccnl dei dipendenti alberghieri.
E smentisce anche la scelta della sentenza di secondo grado di detrarre dal totale dovuto al ricorrente dei compensi per lavoro straordinario, lavoro non festivo, ferie non godute come pure il rigetto alla domanda di versamento dei contributi pensionistici.
Qui l’articolo del Sole 24 Ore sul tema.
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