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Una onlus che fa formazione deve rivolgersi a soggetti realmente svantaggiati

Un ente che fa formazione, per poter essere onlus, deve rivolgere le sue attività direttamente a persone in condizione di reale svantaggio. Se la formazione è rivolta a una generica pluralità di persone, non è rispettato il requisito richiesto dal decreto legislativo 460/97 sulle onlus.

Questo è in sintesi quanto ribadito dalla Corte di Cassazione con la sentenza 7311 del 28 marzo 2014.

Commento alla sentenza 7311 

La Corte ha ribadito che la nozione di “svantaggio” non è un concetto generico, bensì “…individua categorie di persone in condizioni oggettive di disagio per situazioni psico-fisiche particolarmente invalidanti ovvero per situazioni di devianza, degrado, grave precarietà economico-familiare, emarginazione sociale e che tale individuazione risulta seguita anche nella prassi amministrativa (Circolare del 26/06/1998 n. 168), la quale prevede, in via esemplificativa, quali soggetti in situazioni di svantaggio rilevanti: i disabili fisici e psichici affetti da malattie comportanti menomazioni non temporanee; i tossicodipendenti; gli alcolisti; gli anziani non autosufficienti in condizioni di disagio economico; i minori abbandonati, orfani o in situazioni di disadattamento o devianza; i profughi; gli immigrati non abbienti”.

L’articolo 2 del decreto legislativo 460/97 spiega infatti che “Si intende che vengono perseguite finalita’ di solidarieta’ sociale (e quindi si puo’ essere onlus, ndr) quando le cessioni di beni e le prestazioni di servizi relative alle attivita’ statutarie nei settori dell’assistenza sanitaria, dell’istruzione, della formazione (…) sono dirette ad arrecare benefici a persone svantaggiate in ragione di condizioni fisiche, psichiche, economiche, sociali o familiari”.

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