Dal 10 al 12 giugno si è svolto il Giubileo degli ammalati e delle persone disabili, importante appuntamento all’interno del Giubileo della Misericordia.
Riportiamo un estratto delle parole di Papa Francesco nei vari momenti, dalla catechesi alla messa in piazza San Pietro: sono sicuramente occasione di riflessione per uomini e donne che negli enti Uneba ogni giorno si dedicano alle persone con disabilità o si trovano di fronte alla richiesta di aiuto, a volte muta, di chi soffre, di chi è malato.
Diversità
“Le diversità ci fanno paura perché andare incontro a una persona che ha una diversità grande è una sfida, e ogni sfida ci fa paura. È più comodo non muoversi, ignorare le diversità, dire che tutti siamo uguali. (…) Ma tutti siamo diversi, non c’è uno che sia uguale all’altro. (…) È vero, ci sono diversità che sono dolorose, ma anche quelle diversità ci aiutano, ci sfidano e ci arricchiscono”.
Persone disabili escluse dalla catechesi o dai sacramenti
“Pensiamo a un prete che si difende (e dice): ‘capisco tutti, ma non posso accogliere tutti, perché non tutti sono capaci di capire’. Sei tu che non sei capace di capire: quello che deve fare il prete, aiutato da laici, da catechisti e da tanta gente, è aiutare a capire, la fede, l’amore, le differenze”.
“Spesso si giustifica il rifiuto dicendo: ‘tanto non capisce’, oppure ‘non ne ha bisogno’. In realtà, con tale atteggiamento, si mostra di non aver compreso veramente il senso dei Sacramenti stessi, e di fatto si nega alle persone disabili l’esercizio della loro figliolanza divina e la piena partecipazione alla comunità ecclesiale”.
Il falso benessere, e il ghetto dell’assistenzialismo
“L’obiezione che, soprattutto in questi tempi, viene mossa davanti a un’esistenza segnata da forti limitazioni fisiche (è) che una persona malata o disabile non possa essere felice, perché incapace di realizzare lo stile di vita imposto dalla cultura del piacere e del divertimento. Nell’epoca in cui una certa cura del corpo è divenuta mito di massa e dunque affare economico, ciò che è imperfetto deve essere oscurato, perché attenta alla felicità e alla serenità dei privilegiati e mette in crisi il modello dominante (…) Meglio tenere queste persone separate, in qualche recinto – magari dorato – o nelle riserve del pietismo e dell’assistenzialismo, perché non intralcino il ritmo del falso benessere. In alcuni casi, addirittura, si sostiene che è meglio sbarazzarsene quanto prima, perché diventano un peso economico insostenibile in un tempo di crisi”.
Vivere la sofferenza
“Quale illusione vive l’uomo di oggi quando chiude gli occhi davanti alla malattia e alla disabilità! Egli non comprende il vero senso della vita, che comporta anche l’accettazione della sofferenza e del limite (…) Il mondo non diventa migliore perché composto soltanto da persone apparentemente perfette, per non dire truccate, ma quando crescono la solidarietà tra gli esseri umani, l’accettazione reciproca e il rispetto”.
“Che cosa potremmo rimproverare a Dio per le nostre infermità e sofferenze che non sia già impresso sul volto del suo Figlio crocifisso?”
“Il modo in cui viviamo la malattia e la disabilità è indice dell’amore che siamo disposti a offrire (…) Il modo in cui affrontiamo la sofferenza e il limite è criterio della nostra libertà di dare senso alle esperienze della vita, anche quando ci appaiono assurde e non meritate. Non lasciamoci turbare, pertanto, da queste tribolazioni”.
L’amore vince
“La felicità che ognuno desidera, d’altronde, può esprimersi in tanti modi e può essere raggiunta solo se siamo capaci di amare. Questa è la strada! E’ sempre una questione di amore, non c’è un’altra strada. La vera sfida è quella di chi ama di più. Quante persone disabili e sofferenti si riaprono alla vita appena scoprono di essere amate! E quanto amore può sgorgare da un cuore anche solo per un sorriso!”
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